
Il piacere del raccontarsi ci rende tutti potenziali storyteller
Ognuno di noi, oggi, può vestire i panni dello storyteller. La tecnologia non solo ci spinge a raccontare quotidianamente e con i mezzi più vari (scrittura, foto, video) sempre di più noi stessi, ma ci fornisce anche con assoluta facilità e in maniera tendenzialmente gratuita gli strumenti per arrivare a sempre più persone.
Quello che a volte perdiamo di vista è che con il nostro racconto quotidiano riveliamo molto di più di quello che noi stessi crediamo. Nel lungo periodo, attraverso i nostri post e non di meno attraverso quelli che semplicemente condividiamo, attraverso il linguaggio che usiamo, le cause che sosteniamo o di cui ci facciamo promotori, sveliamo al mondo la nostra vera identità.
In un’epoca in cui si fa tanto parlare di privacy, siamo noi stessi a rivelare frettolosamente i nostri pensieri e a diffondere intenzionalmente ogni tipo di informazione che riguarda la nostra vita e quella delle persone a noi più care.
La prima regola dello storytelling è quindi necessariamente la consapevolezza. Se siamo consapevoli che la nostra identità digitale parla di noi ad una serie indefinita di destinatari e resta fissata nel tempo (con tanto di data, ora e stato d’animo) e nello spazio (che sia il mio blog o un social network), dobbiamo prendere atto che comunicare oggi richiede più attenzione.
Assodato questo passaggio fondamentale, la nostra storia è pronta per poter viaggiare come strumento di opportunità per noi stessi e non come arma a doppio taglio pronta a ferire chi la brandisce inopportunamente.
La seconda e la terza regola sono onestà e coerenza del racconto, che si traducono in un racconto di noi stessi o del nostro brand aderente alla realtà e in linea con il pensiero che ci caratterizza o con la filosofia aziendale. Valori in grado di generare credibilità e fiducia che riducono sempre più le distanze tra noi e i nostri followers.
E poi ancora, l’originalità. Siamo esseri unici e irripetibili. La nostra storia merita di esser raccontata dal nostro angolo visuale, con le nostre parole. L’omologazione appiattisce tutto, rende invisibili. Quanti riescono a scoprire se stessi e la propria unicità sono in grado di distinguersi.
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