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Datemi un archetipo e solleverò un mondo!

Quando ho il piacere di parlare di digital storytelling in aula, tra tanti neologismi, inevitabilmente, spunta una parola dal sapore antico: archetipo. Il mondo si ferma per un istante. I ragazzi, dopo un primo momento di smarrimento individuale, si scambiano sguardi perplessi in un muto palleggio di una precisa domanda: Archeché?

Cos’è un archetipo?

Deontologia chiama etimologia. Ma ormai siamo in ferie, no? Facciamo rilassare anche la prassi: l’etimologia può attendere!

Se sei un narratore, uno storyteller, un social media manager con la missione di comunicare qualcosa al resto dell’umanità, l’archetipo è un po’ come il pallone per Oliver Hutton (il mitologico attaccante in copertina della serie animata Holly e Benji): il tuo migliore amico.

Già, perché un narratore senza archetipo è un po’ come un calciatore senza pallone. Senza archetipo non puoi fare goal!

Nell’impianto narrativo della tua storia, l’archetipo è il grande “messaggero”, colui il quale porta al pubblico prescelto il messaggio del narratore.

Affideresti mai un messaggio di vitale importanza o un bene prezioso da fare arrivare a qualcuno alla prima persona che incontri per strada? Esatto. Allo stesso modo, neanche io affiderei una “comunicazione” con grandi obiettivi al primo post, alle prime stories che mi passano per la testa o alla prima mail della giornata, scritta con gli occhi ancora chiusi.

Un messaggio che deve fare breccia anche nei cuori più distratti del nostro pubblico va affilato come una lama, con cura e senza fretta. Come una lama deve bucare le “narrazioni concorrenti” e conquistare l’attenzione assoluta del lettore. Non c’è storytelling che tenga se non suscita la giusta attenzione. Ormai non è più sufficiente scrivere trame, ma – come sostiene Andrea Fontana – bisogna creare storie che incantano, attraverso le quali, con gli archetipi giusti, veicolare al meglio i valori dei brand di riferimento.

A tal proposito si parla di Archetypal Branding e si fa riferimento ai 12 archètipi junghiani che identificano i 12 atteggiamenti che sono diretta conseguenza delle necessità primordiali dell’uomo. Secondo Carl Gustav Jung gli archetipi sono “modelli funzionali innati costituenti nel loro insieme la natura umana”. Modelli profondi, radicati nella psiche umana, definibili anche come predisposizione, temperamento, attitudine.

L’archetipo quindi è un player con un ruolo preciso in campo e con una altrettanto definita missione da compiere. Nel digital storytelling, l’innocente, l’esploratore, il saggio, il guerriero, il ribelle, il mago, l’uomo comune, il folle, l’amante, l’angelo custode, il creatore o il sovrano sono dei predestinati con un compito preciso: veicolare l’interazione tra prodotto/servizio e cliente (tanto quello potenziale quanto quello acquisito).

Ma non solo.

In una società che tendenzialmente non acquista più per necessità, ma per appagare stili di vita, una comunicazione identitaria, basata su determinati valori, viene esaltata da miti ed archetipi perché questi ultimi innescano mondi immaginifici. In questi “nuovi mondi” grandi cariche emotive coinvolgono l’utente e ne condizionano il flusso relazionale, trasformando il consumo da atto fine a se stesso a attività in grado di creare un legame con gli altri. Il prodotto smette quindi di essere il fine e diventa il mezzo di interazioni e relazioni.

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